Nell’anno che si è appena concluso molte aziende hanno saputo creare storie di marca attraenti e di valore. Ma quella che per me è risultata la più interessante è Breaking2 di Nike. Lo stimolo narrativo è partito col trailer: Rompere la barriera di 2 ore nella maratona è impossibile. Tutti lo sanno. Lo sa la storia. Lo sa la scienza. Lo sa chiunque abbia un po’ di buon senso. È una follia. Nessuno può correre così veloce per tutto quel tempo. Quindi, ci proviamo noi.
Come? Tre maratoneti tra i più forti del mondo, tutti provenienti dai paesi dell’Africa orientale in cui correre è assieme normalità e leggenda. Un obiettivo considerato oltre i limiti delle capacità umane. Un gruppo unico di tecnici di Nike, medici dello sport, scienziati, ingegneri, fisiologi. Una nuova scarpa Nike realizzata per questo specifico evento (anche se poi disponibile a tutti gli atleti). Un investimento di milioni di dollari. Una partnership con National Geographic per registrare la cronaca di questa eccezionale impresa.
Il progetto è nato con questi ingredienti, e fin dall’inizio si è configurato al tempo stesso come sfida sportiva e come racconto. La sfida sportiva: riuscire a scendere sotto il muro delle 2 ore nella maratona, battendo il record mondiale di 2:02:57 stabilito alla Berlin Marathon da Dennis Kimetto nel 2014. Il racconto: seguire la preparazione di questi tre atleti nei loro paesi di origine fino alla prova finale, documentando la dimensione umana ed epica di questo formidabile tentativo.
Per intenderci, andare dal record di Kimetto a un tempo inferiore alle 2 ore è un salto di 3 minuti che, sui tempi della maratona, può sembrare poco. In realtà nessuno ci è mai riuscito, e molti tra i medici e gli esperti lo considerano pressoché impossibile. Negli ambienti sportivi in Africa c’è chi dice: “Se corri una maratona in meno di 2 ore, muori”.
Anche prima della prova i nomi dei tre atleti erano ben noti agli appassionati delle corse atletiche su lunga distanza: si tratta di Eliud Kipchoge, 32 anni, keynota, medaglia d’oro nella maratona alle Olimpiadi di Rio nel 2016; Lelisa Delisa, 26 anni, etiope, vincitore della maratona di Boston nel 2013 e nel 2015; e Zersenay Tadese, Eritreo, 34 anni, detentore del record del mondo della mezza maratona. I primi due avevano record personali nella maratona di solo 1 minuto o 2 superiori a quello di Kimetto. Dunque, grandi campioni a tutti gli effetti, ma proprio per questo consapevoli dell’estrema difficoltà dell’intento.
La vicenda è descritta con grande ricchezza di particolari in un bell’articolo di Wired. E ha dato luogo a un avvincente documentario di National Geographic, che ricostruisce tutta la storia con un taglio quasi antropologico nelle scene che ritraggono gli atleti mentre si allenano nei loro paesi di origine.
Come è finito il tentativo? Il muro delle 2 ore non è caduto, ma Eliud Kipchoge ha battuto il record del mondo concludendo la sua corsa in 2:00:25, ovvero solo 25 secondi al di sopra del target. Il suo record non può essere omologato per alcuni particolari nel modo in cui è stata organizzata la corsa. Resta tuttavia un risultato strepitoso, che Kipchoge riassume così: “Per me è stato duro scendere di tutti quei minuti, ma per un altro essere umano sarà facile scendere di 25 secondi”. Il suo messaggio è che i limiti sono fatti per essere superati.
Ripresa in real time su Facebook, Twitter e Istagram, la corsa ha raccolto un seguito decisamente notevole. Il filmato di National Geographic, della durata di un’ora, ha poi avuto un grande successo, ottenendo 1,5 milioni di visualizzazioni su YouTube dalla sua uscita nel Settembre 2017.
Ma quali indicazioni può dare questa storia per impostare future strategie di storytelling di altre marche e aziende? Immaginandomi per un attimo parte del team di Breaking2 (ma senza perdere la mia prospettiva di analista), mi sentirei di dire che le principali indicazioni siano queste: ideate sfide in cui dei campioni (degli Eroi) si pongono l’obiettivo di raggiungere un traguardo estremamente ambizioso (uno straordinario Oggetto di Valore); raccontate con sensibilità il loro training, ovvero tutta la fase di preparazione all’impresa; comunicate il valore dell’enorme sforzo speso, anche se passibile di fallire; collocate il prodotto nel ruolo chiave di supporto dei protagonisti (come Aiutante degli Eroi); riprendete i momenti di climax in real time; cercate delle partnership qualificanti sul terreno narrativo, portando lo storytelling a un altro livello (quello del Branded Content).