Un articolo di James Freeze uscito due giorni fa su Forbes fa il punto sulle prospettive delle voci degli assistenti digitali. Freeze, che è Chief Marketing Officier di una società statunitense impegnata nel costruire assistenti virtuali voice-enabled, vede un immenso potenziale nelle capacità delle tecnologie legate alla voce di trasformare il modo in cui accediamo all’informazione e ci relazioniamo alle marche.
Tre punti del suo articolo colpiscono. Anzitutto, le tecnologie attuali permettono di andare molto oltre le voci robotiche standardizzate dei primi assistenti digitali. Quando le aziende decidono quale voce dare ai loro brand, oggi possono scegliere sulla base di numerosi attributi tra cui tono, profondità, accento, cadenza del parlato. Ciò consente di determinare per il proprio brand una sonic identity, una voce unica in grado di veicolare la brand story (non meno della visual identity) e di allinearsi con l’identità complessiva della marca.
In secondo luogo, le voci degli assistenti digitali, grazie a tecnologie potenziate dall’AI come la natural language generation (NLG) e il text to speech (TTS), possono già dare vita a flussi conversazionali naturali e coerenti – e tali capacità non faranno che perfezionarsi. Ciò non significa che gli assistenti digitali siano adatti a sostenere ogni tipo di conversazione. Ma possono sapere quando un’interazione va trasferita a un agente umano. Tale capacità di discriminazione intelligente permette comunque agli agenti artificiali di addossarsi una gran mole di lavoro.
Da ultimo, Freeze avverte che è già il momento di porsi il problema della trasparenza. I rapidi progressi delle tecnologie della voce nel rendere gli assistenti virtuali sempre più lifelike possono dare luogo a un senso di confusione: gli utenti possono non capire se stanno parlando con un sistema artificiale o con una persona. Per Freeze, le aziende dovrebbero eliminare subito ogni dubbio, assegnando alla loro voce AI una breve introduzione come la seguente: “Sono un assistente virtuale intelligente, ma puoi parlare con me come se parlassi con un agente umano. Come posso aiutarti oggi?”.
Quest’ultimo passaggio è rivelatore. Se stiamo raggiungendo questa soglia, vuol dire che il futuro è già qui. Di certo, le marche farebbero bene a porsi il problema di come andare oltre i loro sistemi abituali di interazione col pubblico. Il concetto di sonic identity aiuta molto a mettere le cose in prospettiva. Qual è la voce AI della vostra marca (se ne ha una)? Con quanta cura è stata studiata? Quanto è in linea con la brand identity complessiva? Che impatto ha su consumatori e clienti? E come si differenzia dalle voci dei competitor? Cominciare a rispondere a queste domande può costituire un buon primo esercizio.